Licius Estruscus nostro
collaboratore, fedelissimo delle arti marziali e del cinema che le riguarda
ricorda così il grande maestro d’armi scomparso oggi
Questo è un omaggio triste, di
quelli che non si vorrebbe mai scrivere: è il ricordo di un uomo che fu maestro
in vita e che, deceduto lo scorso 25 giugno, è ora leggenda.
Gli occidentali piuttosto che Lau
Kar Leung hanno spesso preferito chiamarlo Liu Chia-liang, ma in Occidente è
arrivato tardi e al di là di un ristretto numero di intenditori non ha mai
goduto della fama che invece avrebbe meritato. Molto più famoso sicuramente è
sempre stato suo fratello adottivo ed allievo, noto come Gordon Liu: su di lui
Liu ha costruito quel capolavoro senza tempo che è La 36ª camera dello Shaolin (1978), che da solo ha smontato e
ricostruito un intero genere. Ma sbaglieremmo a pensare che Liu Chia-liang
fosse solo un ottimo ed ispirato regista - cosa che comunque fu. Egli è stato
la linfa vitale del cinema di Hong Kong, che oggi quindi perde una delle sue
colonne portanti.
Aveva 14 anni quando iniziò a
lavorare nel cinema, da sempre una delle più prolifiche e remunerative attività
di Hong Kong - fra quelle legali! - e al di là di qualche ruolo da comparsa fu
subito chiaro il settore in cui Liu eccelleva: l’azione. Per dieci anni il
giovane Liu ricoprì una delle mansioni più difficili in quel tipo di cinema: lo
stunt coordinator. Continuerà a farlo
per il resto della sua vita, ma dopo quei primi dieci anni di gavetta
finalmente Liu poté passare anche al livello successivo: attore sì, una
mansione sicuramente più remunerativa, ma divenne anche qualcosa che ad Hong
Kong ha sempre significato moltissimo. Divenne fight choreographer, o fight
instructor che dir si voglia.
Ideare e realizzare combattimenti
di arti marziali in un Paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione
le studia quasi quotidianamente, non è assolutamente facile. Farlo per gli Shaw
Brothers, che notoriamente consumavano i propri lavoratori mantenendoli spesso
in semi-schiavitù, non è di sicuro facile. Rimanere a galla circondato da una
concorrenza spietata e da un esercito di nuove leve che vuole emergere, ancora
una volta non è facile. Ma è di questo che è fatta la leggenda: perseveranza e
abnegazione. E, sicuramente, una gran dose di talento.
Del fiume di film in cui Liu
Chia-liang ha creato coreografie marziali, molto più importanti di quelli in
cui ha semplicemente recitato, l’Occidente ne ha conosciuto una sventagliata:
l’Italia giusto una pallida ombra. In un periodo in cui le grandi produzioni di
qualità venivano distribuite a stretto contatto con i sottoprodotti peggiori,
da noi non si fece in tempo a creare il gusto per saper riconoscere la mano del
maestro. E quando Sammo Hung lo omaggiò con un combattimento epocale in Pedicab Driver (1989) così come fece
Jackie Chan in Drunken Master 2
(1994), ormai la distribuzione aveva chiuso i rubinetti e questo tipo di film
non arrivavano più in Italia.
In tempi più recenti la AVO Film ha
comprato una piccola parte del catalogo Celestial Pictures, quindi ora si
possono gustare molti film con Liu Chia-liang in varie vesti, rimasterizzati e
riportati agli antichi fasti. Scelgo di ricordare il maestro di Hong Kong con
uno dei suoi film forse meno noti, rispetto ai grandi capolavori della Shaolin Chamber, ma in cui ha potuto
dare libero sfogo alla sua creatività, essendone regista, attore e coreografo.
Sto parlando di Mad Monkey Kung Fu
(da non confondersi con il coevo Monkey
Kung Fu), arrivato nel 2010 anche nelle nostre edicole grazie alla collana
di DVD Bruce Lee e il grande cinema delle
arti marziali. Qui Liu può lanciarsi nelle sue istrioniche acrobazie e dar
prova della sua talentuosa marzialità, divertirsi a prendere in giro i canoni
del genere e a dimostrare con il sorriso sulle labbra che si può essere
leggenda anche imitando le movenze di una scimmia.
Riposa nel Paradiso dei Draghi,
maestro Liu.