Il CERCHIONERO

Per sapere tutto su vampiri, zombi, lupi mannari e creature delle tenebre.

Il CERCHIOGIALLO

Il mondo delle indagini (più o meno misteriose) vi aspetta.

IL MITO DA GUERRE STELLARI A STAR WARS

Visitate la nuova mostra di Fermo Immagine il Museo del Manifesto Cinematografico di Milano.

COMICSBOOKTRAILER

I trailer del fumetto.

giovedì 25 luglio 2013

Fermo Immagine: un estate da... Urlo!!!



Chi l’ha detto che i mostri vanno in vacanza? Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico propone per chi resta in città ad agosto un calendario da urlo, ricco di appuntamenti dedicati ai protagonisti della mostra Vampiri, zombi e lupi mannari visitabile fino al 30 ottobre. Per quattro venerdì sera, il museo resta aperto fino a mezzanotte per gli appassionati di cinema e horror con una rassegna gratuita di film presentati da esperti del genere, disegnatori e ospiti speciali.

Fermo Immagine resterà aperto tutto agosto a esclusione della settimana di Ferragosto (dal 12 al 18).

Venerdì 2 agosto, ore 19.30
GLI ZOMBI RACCONTATI DA… DYLAN DOG!
Si parte venerdì 2 agosto, ore 19.30, con una serata unica in cui gli zombi saranno raccontati da un grandissimo esperto del genere: Dylan Dog! Giovanni Gualdoni (sceneggiatore di Dylan Dog) e Sergio Gerasi (disegnatore di Dylan Dog) introdurranno il superclassico cult del genere zombesco La notte dei morti viventi di George A. Romero.


La scelta è obbligata: Dylan Dog è infatti un grande ammiratore di Romero, tanto che nel primo numero delle sue avventure (non a caso intitolato “L’alba dei morti viventi”) lo troviamo al cinema con la fiamma di turno a vedere proprio un film di Romero! Non solo: per l’occasione Giovanni Gualdoni presenterà al pubblico per la prima volta alcune tavole inedite disegnate da Marco Bianchini per l’albo zombesco di prossima pubblicazione “L’Isola dei Morti” per la collana “Le Storie” edita da Sergio Bonelli Editore.


Parteciperà alla serata anche un'altra matita eccellente dell’horror a fumetti: Fabiano Ambu, disegnatore della serie “Dampyr” (Sergio Bonelli Editore) e autore del manifesto della mostra.
Assaggiando i succulenti cupcakes zombeschi preparati dalla cake designer Barbara Perego, tra un aperitivo e una chiacchiera, Gualdoni spiegherà come nasce una storia di zombi, mentre Gerasi e Ambu mostreranno in diretta come se ne disegna uno da manuale! Al termine dell’aperitivo tutti a godersi il capolavoro di Romero.  I più coraggiosi, in mostra, potranno farsi fotografare “dentro” la mitica copertina del n. 1 di Dylan Dog al posto del protagonista!

Venerdì 9 agosto, dalle ore 16.00
OMAGGIO A MATHESON
Venerdì 9 agosto 2013, a partire dalle ore 16.00, sarà la volta di un grande omaggio a Richard Matheson, celebrato scrittore di romanzi horror, recentemente scomparso, autore del romanzo Io sono leggenda (1954) da cui sono stati tratti i tre film che compongono la maratona “vampirica” in programma a partire dalle 16.00: L’ultimo uomo della Terra (1962), 1975 - Occhi bianchi sul pianeta Terra (1971) e Io sono leggenda (2007).


Venerdì 23 agosto, ore 19.00
LUPI MANNARI D’ESTATE
Venerdì 23 agosto sarà la volta dei lupi mannari con la proiezione di un’autentica rarità come la pellicola italoaustriaca Lycanthropus (1962), di cui in mostra si può ammirare un rarissimo manifesto gigante formato “12 fogli”,  seguito da Underworld – La ribellione dei Lycans (2009).


Venerdì 30 agosto, ore 19.30
DRACULA MITO E REALTA’
Si chiude in grande stile con i vampiri venerdì 30 agosto, ore 19.30, con un autentico capolavoro come Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola (1992). Precede la proiezione un incontro con esperti sul mito di Dracula: dal principe romeno al vampiro.




Per saperne di più:
Info: 02/36505761 - www.museofermoimmagine.it
Ingresso libero agli incontri e alle proiezioni
Ingresso alla mostra 5 euro intero, 3 euro ridotto e tesserati

martedì 23 luglio 2013

WIP: WOMEN IN PRISON


Il cinema delle "femmine in gabbia" si può dividere in tre filoni principali, distinti nel tempo ma parzialmente comunicanti.
 Il "WIP" (acronimo di Women In Prison), mette in scena le peripezie di combattive fanciulline recluse in esotiche prigioni.
Il "nazierotico", definito "il più infame dei generi italiani", grufola impudicamente all'interno dei campi di concentramento, nazisti e non, banalizzando la tragedia storica in favore di un erotismo becero e malsano.
Il terzo filone, che possiamo definire "conventuale", cavalca il gusto pecoreccio e di derivazione decamerotica dello scoprire la calza sotto il velo, il seno rigoglioso che tende la tonaca delle, naturalmente giovani e maliziose, monachelle di clausura.

Con questo libro Stefano Di Marino & Corrado Artale ci portano nelle atmosfere sporche e perverse di questi tre sottogeneri della sexploitation, scandagliando quelle pellicole cardine realizzate da volenterosi cineasti artigiani che osavano osare, scandalizzando i benpensanti e facendo godere le villiche platee. 

  


Tutte dentro!
Il cinema della segregazione femminile

208 pagine - euro 13.00 

Collana: I Ratti 


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sabato 20 luglio 2013

BRUCE LEE a 40 anni dalla morte....



20 luglio 1973, muore Bruce Lee ma il Piccolo Drago entra nella leggenda. E ancora domina il mondo degli appassionati di arti marziali, vere o finte, spettacolari, o disputate sul ring. È un’icona, l’emblema dell’artista marziale che nessuno ha mai eguagliato anche se, al cinema come sul ring abbiamo visto centinaia di figure carismatiche. Alcuni anche molto più bravi tecnicamente di Bruce. È questo lo spunto di questo mio personale tributo a Li Siou Lung. Durante una riuscita manifestazione in onore del quarantennale della sua scomparsa, una due giorni che ha visto avvicendarsi dimostrazioni e gare di combattimento di stili differenti nel puro spirito del JKD, e la proiezione di Dalla Cina  con Furore accompagnata da un commento del sottoscritto, ho fatto notare alcune caratteristiche tecniche di Bruce e le differenze sul modo di girare i film d’azione oggi. Non voleva essere una critica alle capacità di Bruce, ma come al solito qualcuno mi ha chiesto (era suo diritto farlo) perché dicessi queste cose. Lui, come altri, sono cresciuti con il mito che Bruce Lee fosse il più grande combattente del mondo. Lo diceva il cinema. Ora vorrei spiegare in poche parole il mio pensiero. Non esiste il più grande combattente del mondo. Neanche oggi che si combatte nelle arene dell’MMA senza regole e con una mescolanza di stili che non ha pietà per chi si pavoneggia dietro tradizioni e istrionismi, i grandi fighter vincono e perdono, a volte sono in giornate buone altre no. Il tempo è un severo maestro per tutti e c’è sempre qualcuno più allenato, più determinato, più veloce. Questo non cambia veramente nulla nell’immagine di un lottatore. In più Bruce era un grande appassionato di arti marziali, aveva delle ottime capacità tecniche (e qualche difetto) ma il suo lavoro era differente. Era un attore. E il cinema è fiction. Non è possibile pensare che i duelli visti al cinema siano realistici, né quelli di  ieri né quelli di oggi. Poi bisogna considerare che uno può essere un ottimo performer (un perfetto esecutore di calci e giravolte) ma il combattimento vero è un’altra cosa. E questo Bruce lo sapeva benissimo. La sua importanza nel mondo delle arti marziali è un’altra e importantissima. Prima di tutto ha diffuso l’immagine dell’artista marziale in grado di muoversi come ‘se tutto fosse facile’ e in questo era insuperabile. Poi dai suoi studi sul JKD sono emerse le idee che hanno reso possibile prima la diffusione del Full Contact, della Kickboxing moderna e poi dei tornei di arti marziali miste senza controllo che sono la forma più moderna e forse più realistica di confronto. Senza le sue parole provocatorie, senza i suoi scritti molti altri grandi atleti forse praticherebbero ancora forme sportive che oggi riteniamo obsolete. Che poi Bruce amasse il combattimento e si esercitasse per essere il più efficace possibile è un’altra cosa. Ma il suo stile era diverso da quello che vediamo nei film. Quasi antitetico. Essenziale, brutale, realistico. E voglio chiudere ricordando un aneddoto riportato in merito da Sammo Hung, altro grandissimo artista marziale dedicatosi soprattutto al cinema me non certo impreparato in un duello vero. Una volta chiese a Bruce di disputare un combattimento vero con lui. Il Piccolo Drago acconsentì. A patto che il duello avvenisse a porte chiuse e nessuno rivelasse mai come era finito. Sammo Hung conferma che lo scontro avvenne realmente. E adesso, a quaranta  anni dalla morte di Bruce mantiene la parola di non rivelare come finì. Che importa realmente? Ciao, Bruce, ti ricorderemo per sempre per quello che sei stato realmente.

domenica 14 luglio 2013

PACIFIC RIM la recensione


 Due sono i segreti di Pacific Rim. Il ritmo e la mitologia. Sul primo niente da dire al di là dell’ovvio. Il film, benché lungo, scorre via incalzante, comincia subito con il minor numero di spiegazioni possibili. Ti butta nel centro dell’azione con i suoi personaggi. Più difficile era la gestione del secondo elemento e Del Toro ci riesce perfettamente. Perché non c’era da recuperare solo il mito delle grandi  bestie(i Kaiju appunto) e dei robottoni già amatissimi dalle generazioni più giovani. Il problema era creare uno spettacolo emozionante per tutte le platee, giovani e meno giovani, orientali e occidentali, edotti in questo filone oppure completamente  estranei(è mai possibile’). Mettere insieme tecnologia ed esotismo, eroi, smargiassi, vecchi soldati e scienziati, buffi o meno. E poi arti marziali, furfanti, cose mai viste e altre del tutto nuove, far capire tutto e subito senza cadere nel cliché. Smuovere le emozioni. Persino la giapponese con i capelli viola e quel vecchio furfante di Ron Perlman. Senza dimenticare l’estetica della distruzione. E in questo Del Toro supera magistralmente l’esame. Ma è ancora la mitologia che è alla base di ogni storia d’avventura in qualunque filone che gli consente di cucinare tutto, di prenderti per la gola, di scordarti del mondo esterno eppure trovare continui agganci con il tuo io di spettatore che cerca emozione e commozione. La mitologia dell’avventura è quella del riscatto, dei sentimenti ritrovati, del sacrificio, della capacità di fronteggiare un nemico che sentiamo cento volte superiore e vincere pur perdendo qualcosa. Questa è la carta vincente , senza la quale tutto sarebbe inutile, un effetto speciale senz’anima. Perché alla fine conta il sentimento, la voglia di farcela, la fiducia in se stessi persa e ricostruita. non è questo che vogliamo nella vita di tutti i giorni?

sabato 13 luglio 2013

MITI DEL WEST: LE ULTIME SFIDE

Si conclude la lunga cavalcata di michele tetro sul mito dell'Ok Corral con l'analisi di un film e..di un episodio di Star Trek sull'epopea degli Earp e dei loro rivali.


Wyatt Earp

Tanta fatica e tanto tempo era costato dover attendere il ritorno del western ma con “Wyatt Earp”, diretto da Lawrence Kasdan (cui si deve “ Silverado”, il film che a suo tempo fece pensare ad una illusoria rinascita del genere, in realtà fritto misto di luoghi comuni), si è rischiato davvero il devastante effetto sortito da “I cancelli del cielo”, con la differenza che quest’ultimo oggi è considerato alla stregua di un capolavoro. Una pellicola mortalmente lunga (tre ore e un quarto), più introspettiva che altro, tendente al nichilista, che copre l’intera esistenza del protagonista fino alle conseguenze della celebre sparatoria del 1881. Seguiamo così l’adolescenza di Wyatt (un Costner decisamente monocorde), educato all’assoluto rispetto per la legge e la famiglia, i tentativi di arruolarsi nell’esercito, il primo matrimonio e la perdita della moglie per tifo, con la sua conseguente crisi, l’alcolismo, le rapine e il carcere, la condanna all’impiccagione e il salvataggio di suo padre (interpretato da Gene Hackman), che lo scaccia da Tombstone.
E quindi le varie professioni, l’incontro con l’emaciato John Holliday (Dennis Quaid, per molti il migliore “Doc” mai apparso sullo schermo) fino a diventare sceriffo, coi fratelli, di Tombstone ed inimicarsi i “cowboy” e la famiglia di Ike Clanton (Jeff Fahey). Tutto scivola verso la celebre sparatoria, e poi, dopo un accenno di “Vendetta”, ritroviamo Wyatt e la nuova compagna Josie diretti in Alaska, con il dubbio dell’ex sceriffo su come la gente racconterà i fatti accaduti. Come già in “Silverado” c’è tutto, o quasi, il West in questa fluviale produzione ma l’occhio di Kasdan non è quello che occorreva per renderla memorabile. L’eccessiva lunghezza, il ritmo compassato, l’antispettacolarità quasi ricercata, l’interpretazione statica di Costner, che raramente cambia espressione, la malinconia del suo Wyatt, certo non eroe classico e neppure “revisionato”, quasi in balia degli eventi fino a manifestare quell’individualismo senza sfumature che lo porterà a diventare giustiziere al di sopra della legge, rendono il film di Kasdan inferiore a “Tombstone” in fatto di guadagno al botteghino (senza contare la valanga di “Razzie Awards” piovutagli addosso) e privo di reale coinvolgimento da parte del pubblico, stremato dalla sua prolissità.
L’epica del West si trasforma in prosaica realtà, ed è la prima vittima di questa pellicola, lo scontro a fuoco è poco più che una sanguinosa rissa a base di insulti e piombo, lo scavo psicologico dei personaggi fa rimpiangere quello dei protagonisti di “Il grande freddo” o “Gran Canyon”, l’aderenza al vero (mai totale, comunque) banalizza alquanto tutto il resto, lo priva della tensione necessaria, e quando il mito è fuori gioco e il revisionismo non porta a nessun vero nuovo concetto o interpretazione dei fatti per un western è la fine. La “summa” filologica di tutti i Wyatt dello schermo, voluta da Costner, non vale il loro valore singolarmente presi…
Star Trek – Lo spettro di una pistola
Piccolo balzo indietro nel tempo: il famosissimo serial fantascientifico “Star Trek”, 1966-1969, di Gene Roddenberry, propose nella sua terza stagione un notevole episodio intitolato “Spectre of the Gun”, diretto da Vincent McEveety, in cui il capitano Kirk e i suoi uomini, dopo aver sconfinato con l’astronave Enterprise nello spazio melkotiano, vengono puniti dagli alieni in modo esemplare: dovranno rivivere la sparatoria dell’OK Corral nel ruolo dei Clanton, dopo essere stati proiettati in un fittizio West simile ad un incompleto scenario cinematografico, in cui tutto è falso tranne le pistole. Ovviamente il logico Mr. Spock riuscirà a salvare la situazione, operando un lavaggio del cervello ai suoi compagni, che in questo modo potranno rendersi conto dell’illusione che stanno vivendo senza rimanervi vittime. Questa curiosa puntata, una delle migliori, può considerarsi una delle primissime versioni di revisionismo anti-Earp: infatti i Clanton, che pure erano ladri di bestiame, vengono descritti dai cittadini della falsa Tombstone come molto simpatici e sempre portati allo scherzo e all’allegria, benvoluti da tutti, al contrario dei tre sceriffi Earp e di Doc Holliday, descritti lugubremente, nero vestiti, violenti, gelosi, dai visi butterati senza emozione, attaccabrighe, assassini a sangue freddo. E lo stesso Spock ricorda come le reali vittime dello scontro a fuoco furono tre, non cinque come i membri dell’equipaggio condannati, e proprio il fatto che Mr. Chekov-Billy Claiborne sia già stato ucciso da Morgan Earp (mentre in realtà scampò alla faida) induce il raziocinante vulcaniano a pensare che la storia sia stata manipolata per i propri fini dagli alieni, facendogli intuire una via di scampo… incredibile come, anche su un altro pianeta, la leggenda sia preferibile alla realtà.

domenica 7 luglio 2013

MITI DEL WEST: PIOMBO ROVENTE SULLA PIETRA TOMBALE


Michele Tetro continua la sua ideale cavalcata trai film dedicati alla sfida all’OK Corral.
Kevin Costner con “Balla coi lupi” e Clint Eastwood con “Gli spietati” fanno risorgere il western negli anni Novanta, dopo il lungo coma seguente al clamoroso tonfo ai botteghini di “I cancelli del cielo” di Michael Cimino, vera pietra tombale sul genere. E saranno proprio gli eroi classici del West a tornare in nuova, smagliante forma sul grande schermo, da Wild Bill Hickok a Geronimo a Jesse James… senza ovviamente dimenticare Wyatt Earp, protagonista addirittura di due film coevi del 1994, entrambi piuttosto fedeli al vero storico. Il primo è “Tombstone”, diretto da George Pan Cosmatos e servito da un cast di primordine che vede nel ruolo di Wyatt Earp un baffutissimo Kurt Russell (personalmente trovo che non sia stata la miglior scelta attoriale per un personaggio del genere) e in quello di Doc Holliday un pallido ed emaciato Val Kilmer, che certamente è molto più vicino con l’età a quella del vero dentista pistolero rispetto a tutte le precedenti incarnazioni.

Si tratta di un western “all action” che riesce a seguire piuttosto bene la realtà dei fatti (per quanto si tratti di uno studio da bigino più che da vero tomo di storia: grosso modo ci si può fidare, senza avere la pretesa di scendere tropo nei particolari), privo di approfondimento psicologico sulle motivazioni dei personaggi. I fratelli Earp giungono a Tombstone con le loro famiglie, volendo lasciarsi alle spalle il loro passato dietro ad una stella, propensi solo a rimettere in piedi i saloon della città, vivendo sui proventi forniti dal gioco d’azzardo (totalmente non considerata in questa pellicola la matrice politica alla base delle azioni di Earp). Ma la violenta banda dei “cowboys”, di cui fanno parte Ike Clanton (Stephen Lang) e Johnny Ringo (Michael Bihen), non tollera la loro presenza e men che meno quando Virgil (Sam Elliott) e Morgan (Bill Paxton) accettano di diventare sceriffi. Wyatt non vuole saperne di servire ancora la legge ma alla fine si schiera coi fratelli, giungendo all’inevitabile sfida all’OK Corral (stavolta fedelmente riproposta, a parte il fatto che Doc, sempre inquadrato, spari quattro colpi di doppietta e ben diciannove con le due colt).

I “cowboys” non perdonano i loro tre morti e scatenano una sanguinosa faida, di cui fanno le spese Virgil e Morgan: Wyatt, deciso a proteggere i familiari, attua con Doc la sua vendetta, che porta alla distruzione dei “cowboys” (Doc affronta e uccide in duello il suo nemico personale Johnny Ringo, anche se oggi si è più propensi a credere nel suicidio di quest’ultimo). A cose risolte, Doc finisce in un sanatorio in Colorado, dove muore di tisi e, con suo gran rammarico, “senza gli stivali ai piedi” mentre Wyatt, lasciata la prima moglie Mattie, ormai irrimediabilmente vittima del laudano, e trovato conforto nell’attricetta Josephine, abbandona l’Arizona per rifarsi altrove una vita (il film torna ad occuparsi delle vicende sentimentali degli Earp, concedendo largo spazio per le mogli di tutti i fratelli).

E’ la prima pellicola che presenti in una botta sola tutti gli eventi precedenti e seguenti la sparatoria dell’OK Corral, con ritmo vivace e senza lungaggini, certo non un film d’autore ma sicuramente un prodotto capace di affrontare anche le nuove generazioni, magari a digiuno di questo genere, con buon “appeal”, ovviamente secondo standard più “effettistici” che “sostanziali” (evidentissima la lezione degli spaghetti-western leoniani, in ritmo e messa in scena). Un ritorno al “classico” con occhio attento alle mode più recenti, per un risultato finale in grado di divertire. Cosa che invece non accade per quello che doveva essere il vero, epico bio-pic dedicato a Wyatt Earp, fortemente voluto da Kevin Costner (che aveva tentato invano di produrre lo stesso “Tombstone” secondo le proprie corde) e Lawrence Kasdan, una pellicola che quasi non ha lasciato traccia dietro di sé…

sabato 6 luglio 2013

LA NOTTE DELLA FANTASCIENZA


Finale di stagione per le serate di Borderfiction con un multievento di proporzioni epiche: 

presentazione di MONDO 9 di Dario Tonani (DelosBooks) il libro di fantascienza italiana di maggior successo su questo pianeta; 

presentazione di CREPE NELLA REALTÀ, i fantaracconti di Mario Gazzola (Alea Ebooks); 

presentazione di SOGNAVAMO MACCHINE VOLANTI, antologia di fantascienza in cui autori italiani di ieri, oggi e domani riprendono temi e soggetti della fantascienza anni '60. 

Nel corso della serata avrà luogo, in collaborazione con Archivio Jacono, Giuseppe Lippi e Riccardo Mazzoni, la consegna del PREMIO JACONO 2013 per l'illustrazione a Franco Brambilla, autore delle copertine di Urania Mondadori. 

Conduce la serata Andrea Carlo Cappi

Dove? All'Hotel Admiral di Milano

Quando? Il 10 luglio dalle 21,30