Il CERCHIONERO

Per sapere tutto su vampiri, zombi, lupi mannari e creature delle tenebre.

Il CERCHIOGIALLO

Il mondo delle indagini (più o meno misteriose) vi aspetta.

IL MITO DA GUERRE STELLARI A STAR WARS

Visitate la nuova mostra di Fermo Immagine il Museo del Manifesto Cinematografico di Milano.

COMICSBOOKTRAILER

I trailer del fumetto.

giovedì 30 maggio 2013

VAMPIRI, ZOMBI E LUPI MANNARI: LA MOSTRA


I vampiri, gli zombi e i lupi mannari sono i signori indiscussi di un genere, l’horror, che ha conquistato il grande pubblico fin dagli albori della Settima Arte. A partire da quel lontano 1922 che vide comparire sui grandi schermi l’ombra inquietante di Nosferatu fino ai vampiri belli e tormentati di Twilight, dagli zombi Made in Italy di due maestri del genere come Bava e Romero a quelli dell’attesissimo World War Z (2013), dal lupo mannaro di Lon Chaney Jr. ai licantropi palestrati di ultima generazione, la mostra VAMPIRI, ZOMBI E LUPI MANNARI, allestita presso Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico di Milano (Via Gluck 45) dal 12 luglio al 30 ottobre 2013, ripercorre la storia di un genere affascinate e unico attraverso l’esposizione di più di 150 manifesti cinematografici originali accompagnati da gadget, fumetti, libri, edizioni rare, pressbook d’epoca, foto di scena, memorabilia, statuette e tante sorprese. 



Grazie alle grafiche dei manifesti, alcuni dei quali sono delle vere e proprie opere d’arte dipinte a mano, si viaggia in un mondo tutto da scoprire, fatto di innovazione e tradizione, paura e terrore, ma anche tanto, tanto divertimento.


Dopo il grande successo della mostra inaugurale “Impareggiabile Liz”, dedicata alla carriera e al mito di Liz Taylor nel cinquantesimo anniversario di “Cleopatra”, Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico di Milano prosegue la sua programmazione con la mostra “VAMPIRI, ZOMBI E LUPI MANNARI, che resterà aperta tutta l’estate per concludendosi la sera di Halloween con una grande festa in costume e la cerimonia di premiazione di un concorso per cake designer con la passione per il cinema horror.

La mostra è allestita in collaborazione con l’Associazione Ordine del Drago, che da anni si occupa di studiare e approfondire il mito di Dracula, il blog Il Cerchionero e con Bloodbuster, negozio e casa editrice milanese diventati un punto di riferimento per gli appassionati del genere in Italia.

DOVE COME E QUANDO

12 luglio – 30 ottobre 2013

FERMO IMMAGINE - Museo del Manifesto Cinematografico di Milano - Via Gluck, 45 – Milano

Info: 02/36505761 
Orari: da martedì a domenica 14.00-19.00 – Lunedì chiuso

Ingresso 5 euro intero, 3 euro ridotto e tesserati





MITI DEL WEST: SFIDA ALL'OK CORRAL


Michele Tetro, nostro valido collaboratore ed esperto di western e fantascienza ci propone una serie di articoli legati a uno dei più inossidabili miti del West: La sfida all’Ok Corral

I leggendari eroi del West, i personaggi realmente esistiti che il cinema western classico aveva contribuito a celebrare nella loro accezione “mitica”, vengono rivalutati, all’insegna di una più attenta analisi storica, dal revisionismo del genere occorso nel periodo compreso tra gli anni Settanta e il Duemila. In questa vetrina vedremo la “trasformazione” di alcuni dei personaggi più famosi dell’epopea western, là ove le leggende tornano ad essere illuminate dal più prosaico, e a volte molto differente, riflettore del  reale.

Wyatt Earp
“Nessuno può avere un amico più leale di Wyatt Earp, nessuno un nemico più pericoloso”.
Sceriffo Bat Masterson

È  indiscutibilmente una delle icone per eccellenza del western, sia nella sua versione “mitica” che in quella reale.
Wyatt Berry Stapp Earp (1848-1929) è stato tutto ciò che si sarebbe potuto essere vivendo negli anni della Frontiera americana: agricoltore, conduttore di diligenze, cacciatore di bufali, giocatore d’azzardo, ladro di bestiame, pugile, minatore, giudice di pace, gestore di saloon, aiuto sceriffo e poi sceriffo a sua volta in varie città di frontiera, cercatore d’oro e nell’ultima parte della sua esistenza consulente cinematografico per i primi film western hollywoodiani, amico personale di star come Tom Mix e William S. Hart. Ma di tutte queste attività quella che lo ha reso immortale, trasfigurandolo più volte in un senso o nell’altro, è quella di sceriffo nella città mineraria di Tombstone, Arizona, dove il 26 ottobre 1881 si svolse uno dei fatti di sangue più celebri della storia del West, la sparatoria all’OK Corral, un evento ormai nell’immaginario collettivo, in forme spesso molto differenti dal reale fatto storico, che vide i tre fratelli Earp (Wyatt, Morgan e Virgil), affiancati dal giocatore d’azzardo e pistolero, ex dentista, John Henry “Doc” Holliday (1851-1887), affrontarsi in duello con la banda di ladri di bestiame di Joseph Isaac “Ike” Clanton (1847-1887), composta, oltre che da lui, dal fratello Billy, da Frank e Tom McLaury e da Billy Claiborne.
Trenta secondi di sparatoria in un piccolo spazio chiuso (Lotto 2, 17° blocco dietro ad un recinto dei cavalli), trenta i colpi esplosi, ferite leggere per “Doc”, Morgan e Virgil, illeso Wyatt. A terra rimangono, freddati, i fratelli McLaury e Billy Clanton, in fuga gli altri due. Non si è trattato certo dello scontro a fuoco più spettacolare o con più vittime di quei tempi, ma la leggenda se ne è impossessata, tramandandocelo in mille sfaccettature diverse.
Quel che ormai è quasi certo è che in gioco non c’erano “buoni” (i difensori della legge con stella al petto) e “cattivi” (brutali “cowboys”, ladri e assassini) nel senso manicheo del termine, ma due fazioni l’una contro l’altra armata che avevano grandi interessi personali nella città di Tombstone e smaniavano per averne il controllo assoluto.
Secondo alcuni storici i motivi che portarono al conflitto vanno ricercati nelle divergenze politiche ed ideologiche dei due clan (repubblicani gli sceriffi Earp, democratici i “cowboys” di Clanton, là ove il termine “cowboy” stava propriamente ad indicare bande di fuorilegge libere sul territorio), nella comune considerazione dei cittadini di Tombstone, che, a seconda della fazione per cui parteggiassero, vedevano negli Earp dei damerini tutelati dal proprio distintivo, facili a condannare o ad assolvere basandosi su mere simpatie personali, tracotanti nel far rispettare la legge, intoccabili nella loro gestione del gioco d’azzardo e della prostituzione, sfruttatori dei più indifesi o nei Clanton una masnada di cowboys assassini e ladri di bestiame, ubriaconi rissosi e violenti senza alcun controllo. Insomma, era ed è molto complesso capire chi fosse dalla parte del giusto e probabilmente c’era del vero nei giudizi riguardanti entrambi gli schieramenti.
A differenza di quanto ci hanno raccontato i film dell’età d’oro del West, quindi prima degli anni Settanta, la vicenda personale di Wyatt Earp prosegue anche dopo la sparatoria all’OK Corral, poiché i “cowboys” legati a Ike Clanton tendono un agguato a Virgil (che perde un braccio) e uccidono Morgan, sparandogli alla schiena mentre sta giocando a biliardo. Wyatt dà quindi il via ad un’azione di vendetta personale (“Earp Vendetta Ride” o la guerra della contea di Cochise) che lo porta per due settimane a dare la caccia agli assassini del fratello, accompagnato da una “posse” composta da “Doc”, il più giovane degli Earp, Warren, ed altri elementi di fiducia. Il risultato finale sarà di quattro morti accertati (su quindici allusi) e l’abbandono dell’Arizona da parte del gruppo di Earp. Ike Clanton, l’acerrimo nemico, sfugge agli Earp e finisce ucciso in seguito in una rapina. “Doc” muore di tisi a 37 anni, in Colorado, Virgil continua a fare l’uomo di legge in Nevada fino al 1905, quando sarà stroncato da una polmonite, Wyatt e sua moglie si spostano in California, dove l’ex sceriffo di Tombstone muore nel 1929.Incredibile a dirsi, nonostante tutti gli scontri a fuoco che lo videro protagonista, non fu mai sfiorato da un solo proiettile.
Il cinema gli ha dedicato almeno sedici film (e probabilmente nessuno è riuscito a rispecchiare il vero storico al cento per cento), senza contare varie apparizioni televisive o produzioni a lui liberamente ispirate.


lunedì 27 maggio 2013

E ALLA FINE VENNE TARANTINO (la T è muta)


Arriva come un colpo al cuore (quello definitivo!) il refrain  di ‘Lo chiamavano Trinità’ sulle ultime immagini di Django Unchained. I giochi sono fatti, le colt hanno cantato ed è stato, ovviamente, ‘Tempo di Massacro’. Ma quel ritornello, quella musica ci portano a tempi ed eroi lontani, momenti in cui il cinema d’intrattenimento italiano camminava a testa alta. È vero che con Trinità la stagione degli  spaghetti-western volgeva al termine virando al ridicolo ma la sua bella forza l’aveva ancora. Quella di saper raccontare, di portarci tutti in un mondo che avevamo conosciuto sin da ragazzi, che era una leggenda e che noi, creatori italiani, avevamo rifatto a nostro uso  e consumo, al cinema e nei fumetti. Come osavamo noi ‘dagos’ rifare uno dei pilastri del cinema americano, una leggenda della loro storia riempiendola di sesso, di sangue, di violenza e musiche che non avevano nulla dell’originale? Eppure era stato così. Il west alla fine degli anni 50 come genere cinematografico americano era morto, ridotto a uno spettacolo per bambini dalle serie tv. Rinacque quando Sergio Leone e un manipolo (che poi diventò una legione) lo ripresero, lo rifecero dei deserti dell’Almeria, nelle montagne dell’Abruzzo. Any Gun Can Play,  dice il titolo di un bellissimo saggio sul western ‘europeo’ di Kevin Grant, disponibile anche in Italia in originale. Tutti potevano provarci. Alcuni bene, altri un po’ meno. Ma il western rinacque in America grazie alla sua versione spaghetti . Perché dico questo parlando del film di Tarantino? Perché non voglio raccontarvi la storia che è lì tutta da vedere, nei suoi tempi lunghi perché il west esige tempi lunghi che diano il passo alle stagioni, al mutare dei caratteri, al senso di rivalsa che diventa odio e poi, magicamente giustizia e riscatto. Perché il west non vive di ritmi da video clip, vive di lunga cavalcate fordiane(c’è una scena invernale in particolare che è perfetta). Cosa rimane del Django di Corbucci alla fine? Franco Nero in un cameo e , forse, gli incappucciati razzisti. Poi Tarantino gira il west a modo suo citando a piene mani ma tirando fuori una storia originale e, per una volta, non siamo costretti a sorbirci la solita storia di piccoli allevatori contro grandi allevatori. C’è la blaxploitation, ci sono le pallottole, le piantagioni del sud, i bounty killer persino Mandingo citato non solo a parole. E poi cento visi che hanno fatto la leggenda del cinema d’azione non solo  western. James Remar, Don Johnson, Don Stroud, James & Michael  Parks, Tom Savini, Lee Horsley, Bruce Dern, Robert Carradine, Walton Goggins e lo stesso Tarantino. Visi che l’appassionato ricorda e non solo nei western ma in quel meraviglioso mondo che è stato l’avventura cinematografica e televisiva. Forse non tutte le armi sono congrue con l’epoca ma che importa, neanche la strana pistola che El Tuco assemblava ne ‘Il buono, il brutto e il cattivo’ lo era. Conta l’amicizia virile, quella che sembra uscita da  ‘Faccia a faccia’, conta  la vendetta, la musica, il décor, i volti e le situazioni che ammiccano al ‘Grande Silenzio’ e a mille altri film ma che, ancora una volta, sono gloriosamente originali. La storia è quasi più lineare e ritmata di ‘Inglorius Basterds’. Una vicenda di sangue, di cavalli, di sudore e polvere da sparo. Un cinema fatto di battute lapidarie che citano se stesse, di musiche e immagini. Con tre straordinari interpreti principali(quattro con Samuel L. Jackson!) e un palcoscenico di facce di contorno che le rendono ancora più interessanti. È il cinema. È il West. È la libertà di raccontare sparando un colpo al  chi crede che, grazie alla crisi, si possa tirare il collo agli autori. A chi crede che uomini, schiavi e padroni si qualifichino per il ceto e il colore della pelle. Invece è sempre e solo questione di cuore. E di piombo.

sabato 25 maggio 2013

EROI, DIVI E GUERRIERI: CARLO JACONO IN MOSTRA


C'è tempo fino al due giugno per visitare a Vigevano (PV) presso lo Spazio Excalibur, la mostra EROI, DIVI, GUERRIERI che, attraverso le 60 opere esposte, 45 illustrazioni e 15 dipinti, ripercorre la storia artistica di Carlo Jacono. Ed ecco allora in mostra, nella sezione dedicata agli EROI, la sua prima copertina per I Gialli e Segretissimo, una selezione dei suoi detective, da Sherlock Holmes a Poirot, e un omaggio a Bond

In mostra anche una selezione di immagini, realizzate in bianco  e nero e a colori, per illustrare le avventure del  barone di Münchhausen.


La sezione DIVI permette di scoprire la sua passione per il west e la sua passione per il cinema attraverso una serie di ritratti inediti di alcuni grandi attori come John Wayne o Humphrey Bogart.


GUERRIERI, la terza sezione della mostra è dedicata alla sua pittura o meglio a un aspetto particolare del suo lavoro. Amante della storia, dell'avventura, delle armi e dell'azione si è dedicato con grande impegno alla realizzazione di una serie di ritratti di guerrieri ideali, cavalieri o capitani di ventura, dallo sguardo fiero, segnati dal tempo e dalle intemperie ma saldi come rocce.


Accanto a questi dipinti una serie di disegni inediti,  in alcuni casi incompleti, dedicati alle Crociate. Oltre che illustratore e pittore Carlo Jacono si è anche dedicato, purtroppo per breve tempo, alla scultura e in mostra saranno esposti alcuni pezzi degli scacchi da lui scolpiti.

La mostra è aperta sabato e domenica dalle  11 alle 13 e dalle 15 alle 19. L'ingresso è gratuito.

martedì 21 maggio 2013

MITI DEL WESTE: DJANGO DI CORBUCCI


 Il West non è quello della Storia. È un’ideale terra di nessuno che ha solo vaghi agganci di luogo e di tempo con la realtà dei fatti. Il West sta nella nostra fantasia, costruito su ciò che abbiamo visto e letto a dispetto di qualsiasi verosimiglianza. Django, rivisto nella bella versione distribuita da CineKult, ne è un esempio sfolgorante. Non si fatica a credere che l’eroe eponimo interpretato da Franco nero sia diventato all’estero l’icona del western all’italiana. Arriva  nel fango, sotto la pioggia trascinandosi una bara. In un West in cui la stessa Tombstone ruba il nome a una città reale ma diventa emblema di tutte le ghost town che abbiamo immaginato. I messicani, i razzisti con i cappucci rossi, il vecchio Nathaniel che  nel patetico saluto al suo  locale(quando accenna a una scala sul piano) è molto più italiano che americano, le ballerine…. Tutto ci riporta a una dimensione sognata, all’idea del west così genialmente interpretata da influenzare gli americani stessi. Corbucci fu grande professionista dell’intrattenimento non solo nel west. La mazzetta, le commedie, tanti altri magnifici e divertentissimi film. Nel west però lasciò impronte durature, da quello nevoso ambientato a Cortina(il grande Silenzio) a navajo Joe, a Vamos a matar companheros, storia di rivoluzione e amicizia. I crudeli, Lo specialista…insomma tutta un’iconografia che se avesse avuto maggiori agganci lo avrebbe elevato allo status di Leone. Invece per scelta o per necessità, decise di essere prolifico, di regalare storie a ripetizione, sempre con un tocco suo anche quando i soldi  erano pochi e i tempi ristretti. Come ricorda sua moglie, si sentiva depresso quando non aveva un contratto, un nuovo film da realizzare. E in questo era un vero westerner, un conquistatore di quella frontiera che ancora oggi ha bisogno di eroi.

lunedì 20 maggio 2013

BRUCE LEE: IL PICCOLO DRAGO


Li Siao Lung vive la sua parabola tra il 27 novembre 1940 e il 30 di giugno del 1973 ma il mondo lo conosce come Bruce Lee:  il re del Kung Fu cinematografico e reale. È un mito, una leggenda che ancora oggi ispira milioni di fan.
Bruce Lee è il simbolo del ‘cinese’ che ce l’ha fatta. Figlio d’arte ha recitato in più di 100 film prima di arrivare al successo di Hollywood.



Cresciuto nei vicoli, tra le bande di strada e i duelli sui tetti, studiò lo stile più praticato da Hong Kong, il Wing Tsun, una scuola di combattimento da strada ideato da una monaca Shaolin e, nella sua epoca, insegnato dal maestro Yip Man, una leggenda portata recentemente al cinema da Donnie Yen.
Emigrato in America studia filosofia, si sposa, insegna la sua versione del Gonf fu (nome originale del Kung Fu che significa ‘duro lavoro’). Lo fa agli occidentali e viola una regola millenaria. Altri nemici ma anche molta popolarità.

Comincia a lavorare nel mondo dello spettacolo: sono  piccoli ruoli televisivi e si rende conto che non potrà mai sfondare in un mondo dove i cinesi vengono chiamati al massimo per ruoli di camerieri o di cattivi.



Ritorna a Hong Kong realizza quattro film rimasti nella leggenda. Realismo, violenza, passione: ecco la formula che lo distacca da tutti gli altri. E finalmente, quando i suoi film hanno fatto il giro del mondo arriva la proposta di Hollywood. I 3 dell’operazione Drago lo consacra in tutto il mondo. Non potrà vederlo nei cinema: una morte misteriosa lo uccide lasciando ai milioni di fan che assistono al suo funerale l’immagine di un uomo che ha vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo.

venerdì 17 maggio 2013

CINEMA: ASPETTANDO DJANGO



Avevamo promesso il West.. e il West è Action... così, in attesa di parlare diffusamente del film di Tarantino, scopriamo il western orientale
Takashi Mike, regista prolificissimo e variegato nell’ispirazione, pulp a volte sino all’estremo e ingiustamente snobbato da chi considera il cinema giapponese obbligatoriamente una raccolta di immagini statiche e iconografiche, diresse  pungolato dall’amico Tarantino un film atipico nel 2007.
Sukiyaki Western Django è, in realtà, molto più citazionista e complesso del recente film di Tarantino, al quale è comunque riservato un ruolo di cantastorie che deve averlo divertito moltissimo(di chiama Ringo e veste come Eastwood ma, nel proseguio della storia appare come il classico vecchio della montagna giapponese padre di un bimbetto che ha chiamato Akira perché ‘Sono sempre stato un otaku!’). Questo film è riproposto oggi in versione di lusso con più di un’ora di contenuti extra.
Prodotto non per tutti, giacché unisce allo stile di Mike un citazionismo esasperato (qui sì …altro che nel film di Tarantino che è una pellicola per tutti) che richiede conoscenze approfondite della storia giapponese, del suo cinema pulp e, ovviamente, una grande passione per il western all’italiana. Tutto con visi orientali sconosciuti ai più.
In una sontuosa cornice autunnale dai colori saturi Mike crea un meta universo fine ottocentesco che mescola l’iconografia western italiana(cappottoni, colt, mitragliatrici, villaggi spazzati dal vento, ballerine in bustino) a quella del chanbara (magnifica la scena in cui il capo del clan bianco dei Genji ferma un colpo di  katana con il palmo delle mani, dimostrazione tipica dello stile kyokushinkai di karate). Intrecci di vendette, con flashback dai colori saturati, personaggi buffi e grotteschi(lo sceriffo dalla doppia personalità, i proiettili che aprono buchi attraverso cui è possibile vedere nei corpi dei morti) tutto per dirci che western e racconti samurai hanno una radice comune. Lo sapevamo ma riproposta con tale abilità la manovra riesce.
Sukiyaki Western Django evoca i western ambientati in oriente della Nikkatsu girati negli anni 70 ma anche  un universo favoloso, creato dalla fantasia degli appassionati in cui davvero si affrontano spada e katana, come in Sole Rosso. Qui viene riproposta in un villaggio in stile western nel quale affiorano costruzioni e interni tipicamente nipponici, la guerra del Genpei (1180-1185) trai clan Minamoto e Taira come fu rivisitata nell’Heike Monogatari, romanzo classico del quale non sfuggono le somiglianze con la Guerra delle Rose inglesi (non per nulla oggetto di citazione). I bianchi e i rossi, un tesoro nascosto, una donna  guerriera, un bambino e una vendetta. Aggiungete il pistolero misterioso e senza nome che arriva e distrugge i due clan e avrete un mix tra Eastwood e Corbucci, tra Leone e Kurosawa, tra Fukusaku e Castellari.
Mike attinge a piene mani dall’immaginario del western all’italiana sia nella dinamica  dei personaggi che nell’azione. C’è la cassa da morto con la mitragliatrice, ma anche la corazza che preserva dalle pallottole, la Derringer nascosta nella manica, il vento, la pistolera giapponese e persino un duello  sotto la neve che non può non ricordare il grande silenzio. Eppure tutto è condotto in modo originale, nipponico più che occidentale, stupefacente e gradevolissimo anche per chi non si ferma alle sollecitazioni ottiche.
L’idea della vecchia guaritrice del popolo degli Anasazi (tribù indiana scomparsa nel New Mexico misteriosamente) da sola vale tutto il film. Come la scritta finale sul piccolo Akira, superstite del massacro finale e ormai padrone del tesoro e della pistola: "molti anni dopo emigrò in Italia e si fece un nome come Django". Da vedere assolutamente abbinato al film di Tarantino per coglierne le differenze. Oppure anche così, perché è uno spettacolo con i fiocchi che un po’,come sempre, ci ricorda che il cinema italiano d’intrattenimento è morto e sepolto ma, come uno zombie, dovrebbe tornare a vivere.

martedì 14 maggio 2013

STEFANO DI MARINO: RICOMINCIO DAL BLOG



Quando due anni fa scrissi il primo editoriale per ACTION ho espresso la mia opinione sull’avventura che è uno stato dell’animo e, spesso, mescola fantasie con la realtà. La parte fiction dell’Avventura si sviluppa nei romanzi, sulle pagine dei fumetti, nei libri. Poi c’è un’avventura vera, magari meno spettacolare, che è quella che viviamo tutti i giorni. Con un pizzico di adrenalina se amiamo sport e viaggi fuori dal comune, sempre e comunque avventurosa se cerchiamo di vederla nel mondo del lavoro. In quello editoriale soprattutto. In questi due anni abbiamo fatto fronte alla crisi economica forse più dura degli ultimi decenni, visto entrare quasi di prepotenza l’editoria digitale con molte promesse, spesso non mantenute. Intendiamoci credo ancora che nel futuro dell’editoria ci sia sempre più spazio per il digitale ma la congiuntura di un momento economicamente difficile e l’arrivo di mezzi informatici forse non ancora concepiti per un largo suo ( lettori, e-reader, tablet con differenti caratteristiche, difficoltà di lettura dei vari formati, tutta una serie di difficoltà nell’acquisto) hanno rallentato notevolmente una corsa che non si ferma me che al momento non sembra dare risultati in grado di garantire sopravvivenza a chi fa solo quello. Abbiamo avuto un ottimo riscontro dei libri di action, delle manifestazioni ad essa legate e a tutto un movimento che ci conforta nella convinzione che la formula che abbiamo scelto sia valida. Ora, adattarsi alle circostanze è la regola prima della sopravvivenza. Per cui Action che è una macchina da traino per altre iniziative(il successo delle quali si può facilmente quantificare per esempio alla riuscita operazione dell’area Action all’ultimo Cartoomics) e continuerà a sopravvivere in forma di blog, proponendo gli stessi contenuti in forma  nuova e gratuita, riservandosi poi di svolgere altre operazioni su piattaforme digitali o cartacee di volta in volta più idonee. Una scelta  obbligata? No, una scelta che spero possa garantire il proseguimento del lavoro di noi tutti sempre con entusiasmo.
Stefano Di Marino