Due sono i segreti di Pacific Rim. Il
ritmo e la mitologia. Sul primo niente da dire al di là dell’ovvio. Il film, benché
lungo, scorre via incalzante, comincia subito con il minor numero di
spiegazioni possibili. Ti butta nel centro dell’azione con i suoi personaggi. Più
difficile era la gestione del secondo elemento e Del Toro ci riesce
perfettamente. Perché non c’era da recuperare solo il mito delle grandi bestie(i Kaiju appunto) e dei robottoni già
amatissimi dalle generazioni più giovani. Il problema era creare uno spettacolo
emozionante per tutte le platee, giovani e meno giovani, orientali e
occidentali, edotti in questo filone oppure completamente estranei(è mai possibile’). Mettere insieme
tecnologia ed esotismo, eroi, smargiassi, vecchi soldati e scienziati, buffi o
meno. E poi arti marziali, furfanti, cose mai viste e altre del tutto nuove,
far capire tutto e subito senza cadere nel cliché. Smuovere le emozioni. Persino
la giapponese con i capelli viola e quel vecchio furfante di Ron Perlman. Senza
dimenticare l’estetica della distruzione. E in questo Del Toro supera
magistralmente l’esame. Ma è ancora la mitologia che è alla base di ogni storia
d’avventura in qualunque filone che gli consente di cucinare tutto, di
prenderti per la gola, di scordarti del mondo esterno eppure trovare continui
agganci con il tuo io di spettatore che cerca emozione e commozione. La mitologia
dell’avventura è quella del riscatto, dei sentimenti ritrovati, del sacrificio,
della capacità di fronteggiare un nemico che sentiamo cento volte superiore e
vincere pur perdendo qualcosa. Questa è la carta vincente , senza la quale
tutto sarebbe inutile, un effetto speciale senz’anima. Perché alla fine conta
il sentimento, la voglia di farcela, la fiducia in se stessi persa e ricostruita.
non è questo che vogliamo nella vita di tutti i giorni?