venerdì 3 gennaio 2014

AMORI E CRUDELTA' DELL'ORCHIDEA ROSSA-FINALMENTE DISPONIBILE




Sono un narratore. Da sempre.
Non scrittore, parola che evoca ambizioni d'auteur, critici paludati e recensioni, premi letterari e tutto un universo estraneo alla mia passione. Questa, benché compulsiva e precoce, ha sempre avuto la sua sorgente nella fantasia, nel racconto di vicende, avventure, in parte vere e in parte sognate.
Narratore, quindi. Un cantastorie, se volete, vicino ai suoi personaggi e alle loro peripezie ma distante quel che basta per non confondersi con loro.
Pallido, mentre loro s’abbronzano al sole delle passioni.
È ciò che ho sempre desiderato essere e che sarò sino alla fine.  
Vocazione familiare?
Non lo so. Nonno Mario, di Bologna, era uno scultore. Nonno Giu, del ramo genovese della famiglia, era, come si diceva un tempo, “maestro di musica”.
Mai saputo disegnare e quanto alla musica… be’, manco a  tenere il tempo ero capace.
Creare, forse, è un pane che ho mangiato la mattina con il latte sin da piccolo. Chissà…
Non ricordo un periodo della mia vita in cui non ho pensato a una storia da raccontare.
Una passione giovanile alimentata dalla lettura di ogni libro mi capitasse a tiro, da centinaia di film visti e rivisti, avventure rivissute con la fantasia nei giorni successivi, persino in lunghe divagazioni a occhi aperti.
“Mamma, posso parlare da solo?” chiedevo. E di fronte a perplesse rassicurazioni dei miei genitori che mi era consentito di tutto purché non dessi fastidio, sui sentieri di montagna cominciavo a narrare per un pubblico che esisteva solo dentro di me.
Una platea esigente, attenta ma inflessibile. Richiedeva sempre nuove emozioni, peripezie, intrecci…
Non vita vissuta, perché raccontare un’avventura invoca sempre il ricorso alla fantasia. Questa è una forza che trasforma, distorce, ci aiuta a materializzare un mondo, a volte selvaggio, ma sostenuto da un ordine, assente ahimé, nella vita vera.
E la straripante necessità di inanellare una vicenda all’altra si sviluppava  assieme alla convinzione che quell’universo di misteri e di ardimenti andasse ricercato e un po’ sperimentato.Così gli sport da combattimento, la vela, le ascensioni in roccia ma anche i viaggi, la passione per la fotografia, la curiosità per luoghi e persone distanti dalla mia quotidianità sono entrati a far parte della mia formazione di narratore. Tutto sempre, rigorosamente, filtrato dall’immaginazione.
Nelle mie scorribande alla ricerca di leggende e fatti strani mi avventurai, ovviamente, anche nella storia della mia famiglia. Fu una volta, al ritorno da una forsennata battaglia tra Tigrotti e Siphay avvenuta nella cornice - per la verità non troppo esotica - di una rotonda sul porto di Genova, che sentii parlare di un mio progenitore.
Si chiamava come me, Stefano Di Marino, e già questo mi colpì. Era vissuto a cavallo della metà del diciannovesimo secolo, ma nessuno ne parlava volentieri.
Molti negavano persino di averne mai udito il nome, altri borbottavano qualcosa. Una zia suora al solo sentirlo nominare agitava la mano di fronte a sé producendo uno strano verso con le labbra. Forse un anatema.
La fantasia s’accese e all’incauto zio che aveva menzionato il misterioso avo strappai scarni ma intriganti brandelli di notizie.
Si diceva che questo Stefano Di Marino fosse stato un poco di buono, un contrabbandiere, uno che frequentava donne di malaffare e bazzicava certi localacci del porto. S’era guadagnato il soprannome di “La Pistola”, bravata di cui andava fiero.
 Giravano anche altre voci, ma nulla di sicuro. Una donna, il coinvolgimento politico con i moti del ‘48… Di più non si sapeva, a parte il fatto che, dall’Italia, se n’era dovuto andare, braccato da sicari austriaci.
Prima si era rifugiato in America, poi erano giunte sue notizie dall’Estremo Oriente.
Siccome l’inglese doveva averlo masticato poco e male, s’era scelto un nuovo nome, ma aveva commesso un errore. Così Stefano Di Marino, detto “La Pistola” era  diventato Stephen Gunn.
Quella “n” in più me lo rese ancor più simpatico. Aggiungeva al personaggio quel poco di spavalda cialtroneria che s’adattava all’immagine che me n’ero fatto.
E poi Ben Gunn era il marinaio abbandonato dai pirati sull’isola deserta, uno dei miei eroi di sempre.
Rimase in un luogo segreto della mente, con tanti altri spunti in attesa di riemergere. Nel frattempo avevo realizzato il mio sogno.
 Ero diventato un narratore professionista
 Quando un editore mi chiese di creare un eroe per una serie d’avventure spionistiche ma di firmarlo con uno pseudonimo “americano”, ripescai dal Baule delle Emozioni a Riposo quel nome ardimentoso.
Oggi i romanzi di Stephen Gunn hanno quasi  superato i venti anni di vita. La serie principale conta più di ventisette episodi e il mio personaggio fa capolino anche in una collana di eleganti ristampe.
 Di tutti i miei lavori è forse quello di cui vado più fiero.
Ma il tempo trascorre, non si ferma. Il ramo genovese della mia famiglia si è praticamente estinto. Qualche tempo fa l’agente immobiliare cui avevo affidato la questione mi avvertì che la vecchia casa di via Rivoli, poco distante da quella gloriosa rotonda, era stata venduta. A me toccava un ultimo sopralluogo per sgombrare l’abitazione da mobilio e vecchie carte di nessun valore per i nuovi proprietari.
Una strana emozione. Tornare in quell’appartamento fuori moda, un po’ buio, che negli anni avevo visitato senza più grande attenzione. Ora, in quell’ultima notte, fui assalito da un’inarginabile ondata di ricordi.
 Il pianoforte con cui il Nonno impartiva lezioni, la centenaria poltrona imbottita di cuoio, tutta squarciata ma che - in epoche per me lontanissime e vicine al tempo stesso - era stata cavallo, bastione, trincea.
Persino il vetusto orologio a pendolo, muto oramai, rievocava emozioni, paure di quando mi nascondevo sotto le coperte perché, di notte, venivano le streghe…
Ma  le ombre,  le avventure terribili e meravigliose, io le avevo viste davvero.
Così, incapace di dormire, cominciai a rovistare tra i cassetti. Ammassavo vecchi spartiti di musica, raccolte impolverate della Domenica del Corriere, della Settimana Enigmistica, edizioni Salgariane illustriate, racconti della Primula Rossa… persino una decina di numeri di un fumetto western che non poteva esser stato altro che mio.
 E in fondo a tutto…
  Vecchi quaderni, di grande formato, simili a registri di bordo. Una scrittura incerta che mescolava italiano e un inglese poco corretto.
Frasi arcaiche, ma nomi conosciuti. Almeno per me. A-Magau… Melaka, le isole Banda, paradiso delle spezie…E un nome ricorrente.
Orchidea Rossa.
 Preso da una frenesia spostai il malloppo su un tavolo, accesi la luce, infilai gli occhiali.
Ci voleva un sigaro e un bicchiere di vodka. Avevo trovato il mio tesoro. Sì, proprio il diario di Stephen Gunn, il racconto di un’avventura. Forse vero, forse condito con molte fantasie.
Alla fine quello scellerato che frequentava i porti e sfoderava la pistola con tanta facilità aveva sentito la necessità di affidare a qualcuno - una donna immaginai, spiccando un balzo d’irrefrenabile  fantasia- i suoi ricordi. La sua era una storia da non dimenticare. Cominciai a leggere con un nodo in gola. Perché avevo trovato il messaggio nella bottiglia di quel naufrago di cento tempeste e il suo tesoro stava per diventare mio…Giurai a me stesso di farne buon uso.
Su IBS

http://www.ibs.it/code/9788897125143/di-marino-stefano/amori-e-crudelt-a-dell-orchidea.html



0 commenti: